Le Proff. Marina Ziche e Amelia Filippelli dell’Unità di crisi SIF su SARS-CoV-2 (COVID-19) mettono in evidenza le ragioni scientifiche alla base delle differenze del rischio di infezione e della gravità della patologia tra maschi e femmine: i primi sono i più colpiti.
Milano 1 Aprile 2020
Da uno studio clinico che tra gennaio e febbraio 2020 ha analizzato 4880 soggetti asintomatici o sintomatici per la patologia respiratoria nell’ospedale di Wuhan, in Cina, è emerso che la positività al SARS-CoV-2 (Covid-19) nella popolazione maschile e anziana (>70 anni) presentava tassi significativamente più alti, sebbene solo l’età fosse stata riconosciuta come fattore di rischio. Il report dall’ISS che raccoglie i dati italiani fino allo scorso 24 marzo su COVID-19, evidenzia come i maschi rappresentino il 57,8% degli infetti e le femmine il 42,2%. La differenza tra i generi diventa più rilevante se si esaminano i numeri dei decessi e le fasce di età: il 70,9% sono maschi mentre le femmine sono il 29,1% e con una mediana per l’età di 78 anni negli uomini rispetto agli 82 delle donne.
Quindi non c’è dubbio che ci sia una questione di genere in COVID-19 che non deve essere disattesa nell’affrontare questa pandemia. Come interpretare questi dati e cosa ci suggeriscono rispetto alle strategie terapeutiche e di prevenzione?
Gli anziani sono più vulnerabili e, nei piani sanitari nazionali, questa fragilità è alla base delle campagne vaccinali che ogni anno cercano di prevenire le evoluzioni infauste delle sindromi influenzali. I dati sul Bollettino Epidemiologico Nazionale dell’ISS documentano che anche per la “normale” influenza del 2018-2019, i casi gravi, con quadri clinici analoghi a COVID-19 e ricoveri in rianimazione, nel 63% dei casi colpiscono gli uomini sopra i 65 anni. L’analisi ha mostrato che gli uomini avevano un tasso di mortalità significativamente più alto, e manifestavano una sintomatologia peggiore, indipendentemente da età, sintomi e comorbilità, rispetto alle donne. Quindi gli uomini, soprattutto se anziani, sono più vulnerabili delle donne alle infezioni virali e alle loro evoluzioni negative.
Il SARS-CoV-2 (Covid-19) entra nelle cellule bersaglio utilizzando l’enzima di conversione dell’angiotensina II (ACE2), localizzato sull’endotelio dei capillari polmonari da dove svolge un ruolo fondamentale nella regolazione della pressione arteriosa. ACE2 è più espresso negli uomini rispetto alle donne. Non si esclude che questa significativa differenza, mantenuta tra popolazioni di diversi Paesi, possa essere legata anche a diverse abitudini e stili comportamentali come il fumo. In Cina, per esempio, la prevalenza di maschi fumatori supera il 50% mentre quella delle donne è inferiore al 3% della popolazione.
Non va sottovalutato che femmine e maschi differiscono nella risposta immunitaria. Anche se i maschi e le femmine hanno gli stessi elementi cellulari del sistema immunitario, le femmine sviluppano maggiori risposte immunitarie verso patogeni, compresi i virus, quindi sono meno suscettibili a contrarre infezioni da microrganismi. Il sistema endocrino, ed in particolare gli ormoni sessuali, possono modificare sia il numero che la “qualità” delle cellule immunitarie, modificandone la risposta ai patogeni.
Gli ormoni sessuali agiscono come importanti modulatori delle risposte immunitarie. Si tenga conto per esempio che il testosterone, l’ormone sessuale maschile, è generalmente un immunosoppressore, mentre gli estrogeni, importanti ormoni regolatori sessuali femminili, tendono a essere immunostimolanti. Studi pubblicati nel 2016 hanno documentato che gli estrogeni forniscono effetti protettivi in modelli animali infettati da ceppi di SARS-CoV, lo stesso ceppo di virus da cui è emerso il coronavirus responsabile di COVID-19. L’analisi della risposta immunitaria ci indica che gli individui di sesso femminile sviluppano risposte immunitarie, verso gli antigeni virali, più intense e più elevate rispetto al sesso maschile e questa caratteristica può determinare anche una risposta vaccinale diversa tra i generi.
Maschi e femmine hanno chiare differenze nei cromosomi sessuali. Sul cromosoma X sono stati mappati circa 1000 geni, verso i soli 100 del cromosoma Y. Molti dei geni del cromosoma X sono correlati all’immunità e codificano per proteine coinvolte nella risposta immunitaria fornendo alle femmine, che hanno 2 cromosomi X, il doppio di queste risorse. La finalità biologica di questo maggiore armamentario di difesa immunitaria delle donne è da imputare alla necessità di garantire una protezione della specie, ma comporta, come effetto negativo, che le donne sviluppano un maggior numero di malattie autoimmuni.
Per quanto riguarda la gravidanza i dati dalla pandemia cinese indicano che madri positive hanno dato alla luce neonati negativi al tampone per il virus, cosi come negativi per SARS-CoV-2 sono risultati il liquido amniotico, il sangue cordonale e il latte materno.
In generale, appare necessario che ci sia una integrazione delle attuali misure intraprese per il controllo e il trattamento delle infezioni da Covid-19 con un’analisi di genere. Questo permetterà di migliorare l’efficacia degli interventi sanitari e promuovere obiettivi di equità di genere e di salute. Maschi e femmine differiscono anche nella risposta ai farmaci e le donne hanno un rischio maggiore di 1,5-1,7 volte di manifestare reazioni avverse. Nel campo delle terapie antivirali un esempio è quello di alcuni farmaci anti-HIV come la nevirapina (reazioni cutanee nelle donne) e gli inibitori delle proteasi (disturbi metabolici nelle donne).
Nonostante le differenze culturali, sociali ed epidemiologiche tra la Cina e l’Italia, e sebbene in presenza di diverse strategie di contenimento dell’infezione, i dati ci confermano che questo ceppo di coronavirus predilige i maschi e specifiche fasce di età, manifestando una chiara indicazione di genere che merita grande attenzione mentre si stanno sperimentando farmaci e vaccini.
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