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Lo scompenso cardiaco può essere evitato se si inibisce una proteina presente nel cuore

Una ricerca congiunta, condotta dall’Università Luigi Vanvitelli e dall’Azienda Ospedaliera Vincenzo Monaldi, pubblicata sulla rivista scientifica Pharmacological Research ha individuato una proteina, la SGLT2, responsabile che facilita lo sviluppo dello scompenso cardiaco.

di Melania Sorbera

Il cuore è un organo meraviglioso. Se non funziona bene tutto il corpo ne risente. Sono circa 600 mila le persone che soffrono di scompenso cardiaco in Italia, quasi il 10% degli over 65 anni. Ad ogni decade di età che avanza la sua incidenza nella popolazione raddoppia. Una ricerca congiunta, condotta da Raffaele Marfella dell’Università Luigi Vanvitelli e da Ciro Maiello dell’Azienda Ospedaliera Vincenzo Monaldi, entrambe in Campania, pubblicata sulla rivista scientifica Pharmacological Research ha individuato una proteina, la SGLT2, responsabile che facilita lo sviluppo dello scompenso cardiaco.

Quando il cuore fatica a funzionare, vuol dire che diventa incapace di contrarsi e di rilasciarsi, nel giusto modo, per pompare abbastanza sangue nell’organismo. A causa di questo scompenso, gli organi e i tessuti ricevono quantità insufficienti di ossigeno e sostanze nutritive per le loro necessità metaboliche e si verifica un accumulo di liquidi in eccesso nei polmoni e nei tessuti. Si parla appunto di scompenso sistolico, quando c’è una ridotta capacità espulsiva del sangue e di scompenso diastolico se vi è una ridotto riempimento ventricolare.

Quali sono, però, le cause dello scompenso cardiaco? Le cause possono essere diverse. L’insufficienza cardiaca si sviluppa, in genere, in seguito a un danno al muscolo cardiaco, in conseguenza di un infarto del miocardio, di un’eccessiva sollecitazione cardiaca dovuta all’ipertensione arteriosa non trattata o in conseguenza di una disfunzione valvolare. In generale corre maggior rischio di sviluppare scompenso, con frazione di eiezione ridotta, chi ha una storia di cardiopatia ischemica, con precedente infarto del miocardio o una cardiopatia valvolare o l’ipertensione, soprattutto se non controllata. Rischia, invece, di sviluppare uno scompenso cardiaco a frazione di eiezione conservata chi soffre di diabete, della sindrome metabolica, di obesità, di ipertensione e il sesso femminile, in generale. Le conseguenze di ciò sono: affanno; affaticamento; ridotta tolleranza allo sforzo e gonfiore alle gambe e alle caviglie.

Lo studio condotto dall’Università Luigi Vanvitelli e dall’Azienda Ospedaliera Vincenzo Monaldi ha rivelato in che modo il  meccanismo può essere se non eliminato quanto meno ridotto. La ricerca è stata effettuata sia su biopsie cardiache di 67 pazienti sottoposti a trapianto di cuore, sia in colture cellulari di cardiomiociti umanizzati.

Recentemente – spiega Raffaele Marfella, docente dell’Ateneo Vanvitelli – numerosi trials farmacologici avevano dimostrato che gli inibitori di questa proteina, le glifozine, oltre a migliore il compenso metabolico nei diabetici, erano in grado di migliorare le performance cardiache riducendo il rischio di scompenso cardiaco nei pazienti con e senza diabete, ma non era chiaro come questi farmaci agissero a livello cardiaco. Oggi invece abbiamo un quadro più chiaro“. Lo studio, infatti, dimostra non solo la presenza della proteina SGLT2 nelle cellule del cuore, la cui concentrazione è peraltro accentuata dall’iperglicemia, ma anche che la capacità di aumentare l’utilizzo del glucosio ma non quello dei lipidi nelle cellule cardiache è da considerarsi un meccanismo che riduce l’efficienza energetica e quindi la capacità di contrazione di tali cellule.

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