Nel Documento di posizione di farmacologi ed economisti una valutazione complessiva per sollecitare un dialogo con agenzie regolatorie e Istituzioni.
“Nel 2015, la stima della spesa potenziale era di 12 miliardi di euro per curare 300mila pazienti. Di fatto, tra il 2015 e il 2019, la spesa per curare 200mila pazienti è stata di un miliardo e 400 milioni. Un risultato reso possibile dall’unione di intenti tra le aziende, l’associazione pazienti EpaC onlus, le società scientifiche AISF e SIMIT” sottolinea il Prof. Americo Cicchetti, Università Cattolica del Sacro Cuore.
Roma, 21 Febbraio 2020
Il bilancio economico a 5 anni dall’introduzione dei farmaci per l’epatite C
L’Italia finora si è impegnata con successo nel piano di eliminazione dell’infezione da HCV entro il 2030 promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’innovazione garantita dai nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAA) per il trattamento dell’epatite C ha avuto una portata rivoluzionaria per la possibilità di eradicare il virus in maniera definitiva, in tempi rapidi e senza effetti collaterali. Questi stessi farmaci, però, sono stati molto dibattuti dal punto di vista economico, nonostante numerosi studi li abbiano certificati come costo-efficaci.
“L’introduzione dei farmaci DAA per l’epatite C rappresenta una storia di successo – ha dichiarato il Prof. Americo Cicchetti, Direttore dell’Alta Scuola di Economia e Managment dei sistemi sanitari, Università Cattolica del Sacro Cuore. – È stata la dimostrazione di un’efficace collaborazione tra l’industria, le istituzioni, gli specialisti e le associazioni dei pazienti. Una sinergia che ha reso sostenibile qualcosa che all’inizio sembrava molto difficile. All’arrivo dei nuovi DAA nel 2014, la stima della spesa potenziale era di 12 miliardi di euro per curare 300mila pazienti; quanto speso nell’arco temporale di 5 anni, tra il 2015 e il 2019, ammonta a un miliardo e 400 milioni con oltre 200mila pazienti trattati. Un risultato reso possibile da una genuina collaborazione tra le istituzioni, le aziende, l’associazione pazienti EpaC onlus, le società scientifiche AISF e SIMIT, che hanno fornito le evidenze scientifiche a supporto di una decisione. L’AIFA in quel frangente è stata in grado di mettere tutti intorno allo stesso tavolo per raggiungere un importante obiettivo”.
Si è tenuta mercoledì 19 febbraio, presso la Sala “Caduti di Nassirya”, Senato della Repubblica, su iniziativa del Senatore Marco Siclari, Membro della 12ª Commissione permanente Igiene e Sanità, la presentazione del Documento di Farmacologia dal titolo “Equivalenza Terapeutica dei farmaci anti-HCV: considerazioni farmacologiche e farmaco-economiche”. L’obiettivo di questo documento è analizzare l’applicabilità dei criteri stabiliti da AIFA con la Determina 818/2018 al caso delle terapie anti-HCV pubblicata lo scorso 16 dicembre. Una presa di posizione che aveva già suscitato la ferma opposizione delle Società Scientifiche AISF e SIMIT e dell’Associazione pazienti EpaC onlus, aprendo un ampio dibattito sul tema.
“Il parere positivo della Commissione Tecnico-Scientifica dell’AIFA sull’equivalenza terapeutica per i farmaci DAA merita un approfondimento condiviso – afferma il Prof. Antonio D’Avolio, Professore di Farmacologia presso l’Università di Torino. – Il Documento presentato al Senato è basato su analisi dal punto di vista farmacologico, farmaco-dinamico e in parte anche di risposta clinica. Rispetto ai criteri di equivalenza terapeutica indicati da AIFA sono state riscontrate alcune discrepanze. Anzitutto, i farmaci in questione presentano una composizione farmaceutica diversa; in secondo luogo, tra questi cambiano i principi attivi e i target virali verso i quali agiscono; diversa, inoltre, è la durata del trattamento e anche il profilo di sicurezza nelle sottopopolazioni. Possiamo anche aggiungere che non esistono studi clinici pubblicati di confronti testa a testa tra questi farmaci. Pertanto secondo la nostra analisi, solo 3 dei 6 criteri indicati nella delibera AIFA sono rispettati. Alla luce di tali considerazioni appare opportuno sollecitare un confronto con l’ente regolatorio da parte di tutte le parti in causa, al fine di valutare al meglio tali variabili e giungere a decisioni realmente funzionali per l’eliminazione del virus dell’epatite C nel nostro Paese”.
Nel Documento di posizione elaborato da farmacologi ed economisti presentato al Senato, si fa presente che per decretare l’equivalenza dei farmaci devono essere soddisfatti dei requisiti farmacologici e clinici. Anzitutto bisogna tenere conto del meccanismo d’azione della classe terapeutica; nel caso dell’HCV bisogna poi tenere conto anche della questione dell’uso combinato dei farmaci. Ma il discorso è complesso. “L’equivalenza terapeutica viene proposta come uno strumento per razionalizzare l’uso e il costo dei farmaci a disposizione per ogni determinata patologia, assumendo pari efficacia terapeutica – spiega il Prof. Giorgio Racagni, Presidente SIF – Società Italiana di Farmacologia. – Tuttavia, stabilire l’equivalenza tra farmaci richiede confronti di estrema complessità: l’equivalenza deve riferirsi a un numero elevato di caratteristiche farmacologiche e cliniche sulla base di solide evidenze scientifiche. Tra i fattori sotto esame emergono come particolarmente rilevanti il profilo farmacocinetico, cioè l’assorbimento dei farmaci, la biodisponibilità, il legame alle proteine plasmatiche e il confronto dei farmaci tra loro nei diversi setting di pazienti. Per quanto attiene all’efficacia terapeutica, è importante tenere in considerazione la rapidità e la durata dell’azione del farmaco, variabili da un paziente ad un altro. Ma la scelta della terapia adeguata sulla tipizzazione del paziente è il fattore strategico, da valutare in un contesto di vita reale. Per questo sono molto importanti gli studi osservazionali reali che ci portano a definire la Real World Evidence, ossia le evidenze cliniche sull’utilizzo e i possibili effetti di una terapia così come risultano dall’analisi dai dati della pratica clinica. La SIF è impegnata ad analizzare gli studi di Real World Evidence al fine di valutare l’efficacia di un farmaco rispetto ad un altro. Questo approccio tiene dunque in alta considerazione anche le interazioni tra farmaci e il ruolo del paziente. In merito all’equivalenza dei farmaci, la SIF sta valutando di presentare questo approccio analitico rispetto ai criteri AIFA alla comunità scientifica in altre aree terapeutiche”.
Il contributo istituzionale nella lotta all’epatite C
“Dal 2015 l’introduzione di farmaci innovativi ha cambiato la storia di questa malattia. Tuttavia, ancora oggi, molti pazienti (ben 1 su 3) arrivano al trattamento in condizioni severe dal punto di vista clinico: per questo è stato molto importante lo stanziamento di 71,5 milioni di euro previsto con l’emendamento al milleproroghe per garantire screening gratuiti. Lo screening aiuterà il reclutamento nel fisiologico “sommerso” della patologia, ma bisogna comunque fare in modo che non si arresti l’attuale piano di eliminazione della patologia nel nostro Paese. Il dibattito sollecitato nell’evento al Senato deve coinvolgere gli enti regolatori per aprire una discussione congiunta” ha sottolineato l’On. Elena Carnevali, membro della XII Commissione Affari Sociali.
L’equivalenza terapeutica come ostacolo alla terapia?
“L’equivalenza terapeutica può essere un ostacolo alla terapia più efficace per i pazienti affetti da epatite C. È un provvedimento discutibile dal punto di vista scientifico. L’obiettivo deve essere di garantire il massimo dell’efficacia dei trattamenti sui nostri pazienti. Si tratta di una malattia letale e questi sono trattamenti che permettono di ottenere una piena guarigione. Questa questione va dibattuta attentamente all’interno delle istituzioni, al fine di garantire ai pazienti le migliori opportunità terapeutiche attualmente disponibili” ha sottolineato l’On. Beatrice Lorenzin, Membro V Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione.
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