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Fine vita, Fnomceo: suicidio ed eutanasia non sono atti medici

Pierantonio Muzzetto: "Il Codice deontologico è il nostro faro. Il suicidio è una scelta del paziente autonoma e riconosciuta"

Il suicidio assistito non è un atto medico, ma una scelta del singolo riconosciuta, autonoma e autodeterminata. Un medico non abbandona mai il paziente, ponendosi in una posizione eticamente alta e mai bassa verso chi soffre o si procura la morte. Anche per chi ricorre al suicidio assistito in una condizione di terminalità oggettiva, l’atto medico potrà essere declinato solo alla cura, all’alleviamento del dolore, la vicinanza e l’accompagnamento“. Così, Pierantonio Muzzetto, coordinatore della Consulta deontologica nazionale della Fnomceo (Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri), nonché Presidente dell’Ordine dei Medici di Parma, commentando la sentenza, depositata venerdì 22 novembre, dalla Corte costituzionale sul caso Cappato-Fabo, in cui viene confermata la depenalizzazione dell’aiuto al suicidio assistito previsto dall’articolo 580 del codice penale.

L’occasione, per ribadire la posizione della Federazione, è stata il convegno che si è svolto sabato scorso all’ospedale Buccheri La Ferla di Palermo “Nascere e morire tra accettazione e rifiuto”, organizzato dall’Ordine dei Medici di Palermo, guidato da Toti Amatoper accendere i fari su un tema spinoso ed accogliere le riflessioni anche di giuristi e medici siciliani in vista di una possibile rivisitazione della legge di fine vita”.

La Consulta ha acclarato i principi della clausola di coscienza, che il medico non è punibile né obbligato ad aiutare il malato che decide di togliersi la vita, e che l’aiuto al suicidio è concesso solo se prestato ad un malato terminale, ma in grado di decidere della sua vita in modo consapevole.

Nella realtà – secondo Muzzetto la sentenza lascia molte perplessità, tanto da essere definita da alcuni costituzionalisti inconsueta nella forma e nella sostanza. Da un lato, la Corte sceglie di non decidere, puntualizzando che le caratteristiche del caso Cappato-Fabo non vanno generalizzate ed estese ad altri casi e rimandando al parlamento il compito di decidere eventuali cambiamenti della legge sul fine vita, là dove però non esiste una visione comune tra le diverse proposte di legge, che sono anzi antitetiche e contraddittorie; dall’altra parte la sentenza pone dei paletti costituzionali al legislatore“.

Prerequisiti perché non sia punibile l’aiuto al suicidio sono il riconoscimento al paziente il diritto dell’esercizio del consenso e dell’autodeterminazione a disporre della propria vita, previo l’effettiva garanzia delle cure palliative; che la morte avvenga in una struttura pubblica e sia eseguita per atto medico solo dopo il parere di un Comitato etico competente per territorio. “Cure palliative, compresa la sedazione profonda, che in Italia – ha precisato il Presidente Muzzettononostante siano previste dalla legge 38/2010, sono disponibili in modo disomogeneo nei territori“.

Inoltre, “Cosa va a certificare un medico? Nella sentenza – ha sottolineato il responsabile della Consulta nazionale – si dice che il medico deve valutare lo stato di salute. Per legge non potrà esimersi, ma non certificherà di certo il via libera a una scelta autonoma del paziente, là dove il suo monoconsenso, che autodetermina la sua decisione di morte con l’aiuto del medico che agisce di concerto, si trasforma in consenso“.

Oggi, siamo di fronte ad una scelta giuridica e bioetica – ha detto Muzzetto in cui spesso il biodiritto supera i principi di bioetica, tanto che tanto che i firmatari del documento di Trento fra cui Carlo Casonato, componente del Comitato nazionale di bioetica, parlano della necessità di una giustizia sociale attraverso l’inserimento nei Lea (Livelli essenziali di assistenza) dell’aiuto al suicidio perché la sua limitazione solo ai soggetti in grado di attuarlo significa escludere gli altri“.

Per la Consulta il medico dovrà giudicare all’interno di un’alleanza terapeutica, che esiste nelle scelte positive e negative. Certamente, la professione è chiamata anche nella terminalità oggettiva per dare una risposta efficace ad una morte dignitosa, ma è altrettanto vero che si è aperto un vulnus tra legge dello Stato e deontologia. Non dimentichiamo – ha ricordato Muzzetto che la Federazione è un ente sussidiario dello Stato posto a garanzia della tutela dei diritti di tutti, ma è necessario trovare un punto di accordo per rispondere all’ipotesi di un cambiamento del paradigma tra curare e procurare morte“.

Il nostro faro è il nostro Codice deontologico, che per legge deve segnare l’atto medico, ed è ai suoi principi e ai suoi duemila anni di storia che il medico si dovrà richiamare in un percorso di burocratizzazione del sistema di cura. Basta ricordare la prescrizione dell’articolo 17 in cui è sancito che il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte. Compito del medico è lenire le sofferenze, aspetto unificante in ogni vivente, soffermandosi su ciò che unisce e non su ciò che divide“.

Il congresso è stato realizzato in collaborazione con l’Associazione medici cattolici di Palermo (Amci).

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