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Farmaci, originale o equivalente? Sanitari e pazienti non sempre informati. Prevale il pregiudizio che di marca sia meglio

Ancora oggi troppi operatori sanitari e troppi pazienti – avverte la Società Italiana di Farmacologia – considerano, per mancanza di una corretta informazione, gli equivalenti farmaci inferiori a quelli di riferimento in termini di efficacia e sicurezza.
Ecco perché la SIF ha deciso di pubblicare un nuovo Position Paper su «I farmaci equivalenti», per un aggiornamento continuo del cittadino come tale, come consumatore e paziente, da tutelare in ogni fase del suo approccio al farmaco.

Milano, 23 Ottobre 2019

Prosegue la campagna di informazione ed educazione al corretto utilizzo dei farmaci, a cura della Società Italiana di Farmacologia (SIF). Il progetto «EquiBios-SIF» è un percorso formativo per gli studenti universitari che saranno i professionisti della salute di domani (medici, farmacisti, infermieri), che serve a fare conoscere cosa sono e quali sono i percorsi regolatori che portano alla immissione in commercio dei farmaci equivalenti e biosimilari. Come logica conseguenza di questo percorso formativo, che ha interessato tutte le sedi italiane, SIF ha quindi pubblicato un nuovo Position Paper (disponibile in allegato e anche qui: http://bit.ly/33V8o9x).

«Non è più accettabile che su questi temi gli studenti non ricevano una informazione precisa da chi questi temi li conosce, per formazione, molto bene – afferma il Presidente SIF, Alessandro Mugelli –. Purtroppo, la nostra esperienza è che troppi operatori sanitari hanno convinzioni errate, non avendo purtroppo avuto questo tipo di informazione durante l’università».

«Equivalente» – spiega SIF nel suo Position Paper – significa quindi «dimostrare che le differenze di comportamento tra i due farmaci nell’organismo […] non sono diverse rispetto all’intervallo di variabilità ritenuto internazionalmente compatibile con la bioequivalenza e quindi con la equivalenza terapeutica». In altre parole, sostanzialmente, per farmaci che contengono lo stesso principio attivo nella medesima quantità, occorre dimostrare che alcuni parametri rilevanti per il profilo farmacocinetico, cioè fondamentalmente il tempo di assorbimento e la concentrazione massima raggiunta nel sangue, sono sovrapponibili.

Va precisato che «come per qualsiasi altro farmaco – scrive la SIF – i controlli sugli equivalenti sono rigorosi e continui e per quei farmaci con basso indice terapeutico (antiepilettici, anticoagulanti orali, antiaritmici e altri), gli intervalli per i criteri di bioequivalenza sono più stretti». L’indice terapeutico è un parametro che individua il rapporto tra la concentrazione terapeutica e quella che causa effetti negativi, e rappresenta quindi un indicatore di sicurezza e della maneggevolezza di un trattamento farmacologico.

Infine, la raccomandazione della Società, che invita i cittadini a fidarsi delle fonti corrette e intende proporsi come «l’amico colto del cittadino».  «Ancora oggi troppi operatori sanitari e troppi pazienti – avverte quindi SIF in chiusura del documento – considerano, per mancanza di una corretta informazione, gli equivalenti come farmaci inferiori rispetto a quelli di riferimento in termini di efficacia clinica, tollerabilità e, addirittura, di qualità. Ciò, ovviamente, è del tutto falso; l’esperienza nell’uso clinico quotidiano, i dati provenienti dalla letteratura scientifica, la qualità dei percorsi autorizzativi e dei controlli da parte delle autorità regolatorie deve rassicurare sanitari e pazienti sulla loro sovrapponibilità in termini di qualità, efficacia e sicurezza».


Farmaci equivalenti

I farmaci equivalenti, chiamati comunemente generici, sono farmaci di uso consolidato, essendo in uso clinico da almeno due decenni. La crescente disponibilità di nuovi equivalenti dipende dalla durata della copertura brevettuale dei farmaci di riferimento (i così detti “farmaci di marca”); alla scadenza del brevetto è infatti possibile chiederne l’autorizzazione alla commercializzazione come equivalenti a seguito di procedure ben codificate.

Il farmaco di riferimento e gli equivalenti contengono lo stesso principio attivo, ottenuto per sintesi, ovvero tramite reazioni chimiche standardizzate e riproducibili. Poiché per i farmaci di riferimento è già disponibile un’ampia documentazione di efficacia clinica e di sicurezza, acquisita grazie all’uso pluriennale del farmaco nella pratica clinica quotidiana, il farmaco equivalente (ovviamente con la stessa composizione qualitativa e quantitativa in termini di principio attivo) dovrà unicamente dimostrare di essere “bioequivalente” rispetto al farmaco di riferimento. Si deve cioè dimostrare che le differenze di comportamento tra i due farmaci nell’organismo (sostanzialmente i parametri rilevanti per il profilo farmacocinetico, cioè il tempo di assorbimento e la concentrazione massima raggiunta) non sono diversi rispetto all’ intervallo di variabilità ritenuto internazionalmente compatibile con la bioequivalenza e quindi con la loro equivalenza terapeutica. Come per qualsiasi altro farmaco, i controlli sugli equivalenti sono rigorosi e continui e per quei farmaci con basso indice terapeutico (antiepilettici, anticoagulanti orali, antiaritmici e altri), gli intervalli per i criteri di bioequivalenza sono più stretti.

Nessun medicinale, di marca o equivalente, può essere immesso in commercio in Europa senza l’autorizzazione da parte di una Autorità Regolatoria Nazionale (nel nostro caso l’AIFA) o Europea (l’Agenzia Europea dei Medicinali, EMA); ciò a garanzia della qualità del farmaco per tutti i cittadini/pazienti europei. Quindi, i farmaci equivalenti disponibili in Italia sono autorizzati, prescritti e utilizzati anche in altri Paesi Europei. La letteratura scientifica più recente ha escluso problemi significativi nel passaggio da un equivalente ad un altro. Numerosi studi retrospettivi hanno invece chiaramente indicato che la sostituzione multipla da un generico all’altro può aumentare il rischio di errori e ridurre l’aderenza alla terapia. Esistono particolari popolazioni di pazienti per le quali occorre mettere in atto misure per limitare il rischio di errori nell’assunzione dei farmaci e per favorire l’aderenza alla terapia prescritta dal medico. Evidenze scientifiche indicano che i pazienti anziani politrattati sono tra le popolazioni a maggiore rischio di errore nell’assunzione dei farmaci e suggeriscono che in questi pazienti dispensare sempre lo stesso farmaco, equivalente o non, contribuisce a migliorare l’aderenza terapeutica. I livelli di prescrizione e di utilizzo di medicinali equivalenti sono progressivamente cresciuti in Italia nel corso degli ultimi anni: permangono ancora differenze significative rispetto a quasi tutti gli altri Stati europei (Germania, Regno Unito) o extraeuropei (Stati Uniti, Canada) e una inspiegabile variabilità interregionale. In conclusione, ancora oggi troppi operatori sanitari e troppi pazienti considerano, per mancanza di una corretta informazione, gli equivalenti farmaci inferiori a quelli di riferimento in termini di efficacia clinica, tollerabilità e, addirittura, di qualità. Ciò, ovviamente, è del tutto falso; l’esperienza nell’uso clinico quotidiano, i dati provenienti dalla letteratura scientifica, la qualità dei percorsi autorizzativi e dei controlli da parte delle autorità regolatorie deve rassicurare sanitari e pazienti sulla loro sovrapponibilità in termini di qualità, efficacia e sicurezza.

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