Nonostante la nuova variante abbia dimostrato, finora e per fortuna, un decorso contenuto, i ricercatori africani pensano che le sottovarianti Omicron del Covid-19 “4” e “5” possano scatenare, nel tempo, una quinta ondata pandemica.
Di Melania Sorbera
Siamo pronti ad una quinta ondata pandemica? Sarà virulenta come le altre? Giunti a questo punto – la variante Omicron si è dimostrata poco più di un raffreddore – speriamo di no. Intanto la sottovariante “4” di Omicron, al vaglio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, in Italia è stata isolata e genotipizzata solo qualche giorno fa. A farlo è stato il personale medico del laboratorio di Microbiologia dell’Ospedale San Gerardo di Monza, diretto da Annalisa Cavallero. Il laboratorio, che porta quotidianamente avanti il lavoro di genotipizzazione del virus, è inserito nella rete lombarda e italiana dei laboratori che si occupano di identificazione e isolamento delle varianti.
Cosa accade però se ci si infetta con questa sottovariante o con la “5”? Secondo uno studio coordinato dall’Africa Health Research Institute di Durban in Sudafrica e pubblicato su medRxiv – piattaforma che mette a disposizione le ricerche prima della loro valutazione scientifica – chi si è ammalato di Covid-19 contraendo Omicron ha solo una bassa protezione nei confronti delle sottovarianti “4” e “5” e si può ammalare nuovamente, specie se non è vaccinato. La sottovariante “4” ha avuto origine a metà dicembre, la “5” i primi di gennaio. Da aprile queste sottovarianti hanno iniziato a diffondersi soprattutto in Sudafrica, dove oggi sono responsabili di circa i tre quarti delle infezioni. Lo studio ha rilevato nei non vaccinati, un calo della capacità neutralizzante di 36 volte nei confronti delle nuove varianti rispetto a Omicron e questo potrebbe essere una buona notizia per i vaccinati se non fosse per il fatto che il calo di protezione nelle persone vaccinate è abbastanza cauto: in questo caso si è osservata una riduzione di 3 volte. Ciò potrebbe scatenare una nuova ondata di infezione, quanto virulenta non si può sapere con certezza. In Sudafrica, il picco dell’ultima ondata si è verificato ormai più di quattro mesi fa ed è stato dovuto al diffondersi della sottovariante uno. Quel che sembra apparire come un passo futuro fondamentale, da questo momento in poi, è la necessità di un vaccino universale. Un vaccino più evoluto rispetto alle precedenti formulazioni. A proposito delle nuove sottovarianti il virologo Anthony Fauci, direttore dell’Istituto nazionale Usa sulle allergie e le malattie infettive – in un video trasmesso durante il meeting “Highlights in Immunology”, promosso dall’Accademia nazionale dei Lincei e dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma – ha sottolineato: “Non possiamo continuare a inseguirle. Abbiamo bisogno urgente di un vaccino universale, sono necessari approcci innovativi per indurre protezione ampia e duratura contro i coronavirus, noti e sconosciuti“.
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