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Cannabis: le FAQ contro “i falsi miti” lanciate dal Gruppo di lavoro Omceo Roma

Obiettivo del Gruppo di lavoro è quello di divulgare una corretta informazione riguardo alla cannabis e ai danni che essa provoca alla salute, soprattutto dei ragazzi.

La cannabis non è una droga vera e propria, infatti non dà dipendenza“. “Ma che danni può fare la cannabis, non staremo esagerando nel parlarne?“. “Ma se mi faccio una canna per rilassarmi e studiare meglio?“. “Va bene, ma se smetto passa tutto? O no?“. “Almeno, con una canna in mano, oggi non ho problemi con la polizia“. Sono solo alcune delle frasi e considerazioni più comuni sulla cannabis e il suo consumo alle quali cerca di dare una risposta, scientificamente motivata ma comprensibile e convincente, l’opuscolo “Cannabis, i falsi miti“, elaborato dal Gruppo di lavoro per la prevenzione dei danni causati da cannabis, fondato da Antonio Bolognese, professore onorario di Chirurgia generale del dipartimento Pietro Valdoni presso Sapienza Università di Roma, e patrocinato dalla Omceo di Roma e provincia.

Il Gruppo di lavoro ha organizzato un incontro pubblico, tenutosi presso la Sala Baldini in piazza di Campitelli a Roma, per presentare la propria attività e lanciare una vera e propria “chiamata alle armi” alla società civile, a tutti coloro che hanno contatto con i giovani e possono, in diversi contesti e occasioni, divulgare una corretta informazione riguardo alla cannabis e ai danni che essa provoca alla salute, soprattutto dei ragazzi.

Obiettivo del Gruppo di lavoro è anche quello di promuovere un’azione di informazione e divulgazione presso le famiglie, i docenti, gli allenatori, gli educatori e anche i medici che, spesso, hanno constato i professionisti sanitari che compongono il Gruppo di lavoro, non conoscono a fondo questo tema e neanche il mondo dei servizi pubblici per le dipendenze a cui ci si può rivolgere in caso di necessità. “È necessario contrastare credenze sbagliate – ha sottolineato Stefano De Lillo, vice presidente dell’Ordine dei medici di Roma, al quale è affidato il coordinamento del Gruppo di lavoro – come quella che la cannabis possa avere un effetto stimolante nello sport. Questa droga, infatti, oltre a essere una sostanza dopante ha al contrario un effetto negativo sulla prestazione sportiva. Questo è importante dirlo e farlo capire“.

Per rendere la comunicazione semplice, efficace e comprensibile a tutti, pur mantenendo la base scientifica che ne fortifica l’attendibilità e la validità, l’opuscolo è stato strutturato come un elenco di FAQ (Frequent Asked Questions), ben note ai frequentatori del web, quindi ai ragazzi prima di tutto. “Il nostro obiettivo è fare sì che I ragazzi acquisiscano una corretta conoscenza sulla cannabis da una parte attraverso la peer education, dall’altra attraverso le informazioni e le nozioni che possono essere trasmesse da genitori, educatori, docenti, allenatori, maestri che però devono poterle acquisire e comprendere in prima persona – ha spiegato Angelo Fienga, ingegnere e data scientist – È essenziale che la conoscenza sulla pericolosità della cannabis, in tutti gli aspetti della vita quotidiana, sia alla portata di tutti perché ci sono molti falsi miti che danno un’idea sbagliata del fenomeno. Oltre che in versione cartacea, produrremo l’opuscolo anche in formato digitale e sarà ospitato sul sito della Omceo Roma e Lazio. Stiamo anche pensando di trasformarlo in un decalogo da esporre nelle palestre, nei centri sportivi e da diffondere via social, con la modalità delle card e delle pillole di Instagram e TikTok che se fatte bene hanno un effetto virale molto efficace”.

Per parlare direttamente ai ragazzi in un linguaggio che sia per loro comprensibile e d’impatto, l’attività del Gruppo di lavoro punterà anche a coinvolgere testimonial o influencer giovani. Sull’importanza del confronto con i coetanei e di un approccio, da parte delle istituzioni, che sappia accendere l’interesse dei ragazzi, è intervenuto Giuseppe Ducci, psichiatra e direttore del dipartimento Salute mentale della Asl Roma 1: “Il Servizio sanitario nazionale deve andare incontro alla modernità, utilizzando i canali preferiti dai giovani per raggiungerli sia nell’operazione di informazione ed educazione sia nel far sapere loro che esistono dei servizi di facile accesso a cui possono rivolgersi se hanno bisogno. Bisogna intervenire in modo duplice – ha chiarito – In primo luogo, cogliendo la dimensione multiforme della intossicazione e dei disturbi causati dalla cannabis, non tenendo separati il mondo delle dipendenze e quello della salute mentale. In secondo luogo, individuando dentro le classi scolastiche dei leader naturali che possano informare i coetanei con un linguaggio a loro familiare. La peer education più efficace – ha tenuto a ricordare Ducciè orientata a uno stile di vita sano in senso ampio, non su un solo obiettivo”.

Un elemento che è stato sottolineato con grande preoccupazione dagli esperti del Gruppo di lavoro è l’età sempre più precoce di prima assunzione della cannabis da parte dei ragazzi, che fumano il primo spinello intorno agli 11-12 anni. Un esordio precoce che può portare numerosi gravi conseguenze che possono essere immaginate come un iceberg. La punta di questo iceberg, ha spiegato Giuseppe Bersani, già professore ordinario di Psichiatria presso Sapienza Università di Roma, “sono i disturbi psicotici che, secondo un dato medio, possono interessare il 15% dei giovani consumatori. Non è possibile definire il dato in modo più preciso perché – chiarisce lo psichiatra – alla comparsa di queste forme psicotiche concorrono quattro variabili. La prima è l’età di esordio dell’assunzione, perché un conto è iniziare a consumare cannabis a 13 anni e un altro è iniziare a 30. La seconda è la continuità, la regolarità dell’assunzione. La terza è la quantità cumulativa di principio attivo della cannabis (il tetraidrocannabinolo, THC) assunta nel tempo. Questi tre fattori si combinano, poi, con una vulnerabilità individuale mediata geneticamente. Questi stati psicotici possono essere di tipo simil-schizofrenico o simil schizo-affettivo. La cosa drammatica – sottolinea l’esperto – è che un disturbo psicotico che esordisce indotto e stimolato dal consumo di cannabis può cronicizzare e quindi non recedere, in molti casi, neanche dopo la sospensione del consumo di cannabis. È come se l’assunzione di cannabis fosse in grado attivare un processo potenziale, ma non espresso, che una volta attivato segue il suo decorso, indipendentemente dalla prosecuzione o meno dell’assunzione di cannabis. Si tratta di un rischio altissimo”. Nella zona mediana dell’iceberg ci sono poi le conseguenze mentali di lungo termine, sviluppate da una vasta percentuale di soggetti che iniziano ad assumere precocemente cannabis, ma non sviluppano psicosi. Si tratta principalmente della “sindrome amotivazionale, caratterizzata, più che dalla tristezza e dalla malinconia tipiche della depressione vera e propria, da uno stato di apatia, indifferenza, mancanza di motivazione, di interessi, di iniziativa. È strettamente intersecata col deficit cognitivo, con le difficoltà a studiare, a memorizzare”. Alla base della piramide, infine, ci sono le conseguenze di ambito neuro-psicologico che si manifestano con “disturbi di memoria e della concentrazione, difficoltà nell’apprendimento verbale. Molti ragazzi che fumano cannabis iniziano prima ad andare male a scuola, poi abbandonano: moltissime interruzioni di studi – ha sottolineato l’accademico – sono legate al consumo di cannabis. I consumatori precoci si autodeterminano una ridotta capacità intellettiva per tutto il resto della vita. Non è un decadimento cognitivo – ha concluso Bersani è una cognitività che non si sviluppa perché la cannabis interferisce con il processo evolutivo del cervello che è nel pieno durante l’età adolescenziale. Le opportunità cognitive che si perdono in adolescenza non si recuperano più”.

Un altro argomento sul quale i relatori del convegno si sono ampiamente confrontati è stato poi quello della “cannabis droga leggera” “Una definizione che – ha ricordato Antonio Bolognese, responsabile scientifico del Gruppo – che non ha alcun valore scientifico, ma nasce da un’esigenza soprattutto commerciale affinché se ne faciliti la vendita“.

Sul tema è intervenuto anche Ferdinando Nicoletti, professore ordinario di neurofarmacologia presso Sapienza Università di Roma, il quale ha sottolineato che “Non esiste droga né sostanza di abuso che crei un rischio tanto pregnante per la schizofrenia quanto la cannabis. I soggetti maggiormente a rischio sono quelli la cui traiettoria di sviluppo è ancora in fase ascendente, quindi i pre-adplescenti e gli adolescenti. Il trattamento della dipendenza da cannabis – ha poi spiegato – si articola su tre interventi: farmaco terapia dei disturbi mentali individuali, riabilitazione cognitiva, supporto psicosociale. Più precoce è l’intervento tanto più efficace è il risultato del trattamento. Ma, tenuto conto che la cannabis agisce sul lungo periodo, è molto importante agire sulla prevenzione”.

Il direttore dell’Osservatorio sulle dipendenze e psichiatria della Asl Roma 2, Alessandro Vento, ha posto infine l’accento sull’importanza di far comprendere a tutti, giovani e adulti, che la cannabis venduta oggi non è uguale a quella degli anni ’70, in termini di concentrazione di principi attivi, di potenza e di pericolosità. “Parlare genericamente di cannabis non ha senso perché possiamo considerarla un contenitore di cannabinoidi. Quanti più ce ne sono, tanto più elevato è il rischio di alterare il funzionamento cerebrale. Sappiamo che sono circa 60-70mila gli studenti delle scuole superiori che consumano quotidianamente cannabis, esponendosi al rischio di disturbi psichiatrici maggiori. Un’altra fetta consuma non in modo quotidiano, esponendosi a disturbi psichiatrici minori. si tratta di numeri importanti che hanno anche un forte impatto a livello di costi per il servizio sanitario nazionale”.

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