Roma, 10 maggio 2022
L’European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction (EMCDDA) stima che nel 2020 il 27,2% della popolazione ha fatto uso di cannabis almeno una volta nella vita e che il 15,4% di chi ha tra i 15 e i 34 anni (circa 1,85 milioni di italiani) ne abbia fatto uso nell’arco dell’ultimo anno. In questo contesto l’Italia detiene il primato (insieme alla Francia) di casi di ragazzi che hanno fumato cannabis per la prima volta a 13 anni, o prima. Si tratta di circa 66.000 giovani, il 4,4% della popolazione italiana in questa fascia d’età. “Ci troviamo di fronte a un crescente utilizzo di questo tipo di droghe da parte di giovani consumatori. Sono droghe considerate erroneamente ‘leggere’ ma che invece danno dei danni gravissimi anche perché quasi sempre l’uso, da occasionale, diventa continuativo“, sottolinea Stefano De Lillo, vice presidente dell’Ordine dei medici di Roma. Spesso in Italia l’età media di inizio assunzione si colloca, infatti, nella fascia di età della scuola media, cioè tra gli 11 ed i 14 anni. “E’ una situazione preoccupante – continua De Lillo – e per questo abbiamo deciso di promuovere, presso l’Omceo, un Gruppo di lavoro scientifico dedicato alla prevenzione, alla valutazione e alla divulgazione delle conseguenze dell’uso della cannabis sulla salute mentale dei giovani“.
È, infatti, sempre più frequente l’osservazione clinica della comorbidità tra uso cronico di cannabis e disturbi psicotici di tipo schizofrenico, in cui nella grande maggioranza dei casi l’assunzione precede l’esordio dei sintomi psicopatologici.
“I dati della letteratura mostrano come il 10% dei consumatori abituali di cannabis sviluppino un disturbo schizofrenico, quindi una psicosi reale – evidenzia il vice presidente Omceo e coordinatore del Gruppo di lavoro – e il 30% sviluppi una sindrome demotivazionale che è caratterizzata da abulia, perdita degli interessi scolastici, amicali, affettivi, sportivi, irritabilità e violenza. Per questo abbiamo ritenuto fondamentale portare il problema all’attenzione dei medici e dei pediatri che spesso si trovano di fronte a dei quadri clinici di difficile interpretazione“.
Obiettivo del Gruppo di lavoro è poi quello di promuovere un’azione di informazione e divulgazione presso le famiglie, le scuole, i centri di aggregazione, gli oratori e le palestre. “È necessario contrastare credenze sbagliate come quella che la cannabis possa avere un effetto stimolante nello sport – precisa De Lillo – questa droga, infatti, oltre a essere una sostanza dopante ha al contrario un effetto negativo nella prestazione sportiva ed è importante dirlo e farlo capire. La percezione diffusa della cannabis come droga ‘leggera’ fa sì che i giovani ne facciano un uso ‘disinvolto’, sbagliando”. L’attività del Gruppo di lavoro scientifico promosso dall’Omceo auspica pertanto a diffondere informazioni di carattere medico e scientifico “che siano chiare e incontrovertibili – spiega De Lillo – rendendo questi dati accessibili a tutti“.
Non solo. Per parlare direttamente ai ragazzi in un linguaggio che sia per loro comprensibile e d’impatto, l’attività del Gruppo di lavoro Omceo “punterà anche a coinvolgere testimonial o influencer giovani, sia per portare avanti un’ educazione tra pari – conclude De Lillo – sia per raccontare direttamente storie che diano ai ragazzi messaggi positivi attraverso le parole dei propri coetanei“.
Il Gruppo di lavoro è composto dai medici: Giuseppe Bersani, già ordinario di Psichiatria presso La Sapienza Università di Roma; Antonio Bolognese, professore onorario di Chirurgia generale presso il Dipartimento di Chirurgia Pietro Valdoni del Policlinico Umberto I La Sapienza Università di Roma; Giuseppe Ducci, psichiatra direttore del Dipartimento di Salute Mentale della Asl Roma 1; Giuseppe Novelli, ordinario di Genetica medica e presidente della Fondazione Lorenzini di Milano, già rettore dell’università di Tor Vergata di Roma; Nicolino Rago, psicologo-psicoterapeuta, già coordinatore Comunità di recupero tossicodipendenti del Comune di Roma, referente Tossicodipendenze presso il Centro clinico della Scuola italiana di ipnosi e psicoterapia Ericksoniana; Alessandro Vento, psichiatra e presidente dell’Osservatorio sulle dipendenze della Asl Roma 2.
Ad affiancare i medici, uno staff tecnico composto da: Sandro Cerea, amministratore delegato della società LSG, tecnico della comunicazione e meeting planner; Angelo Fienga, director sustainable solutions Cisco Emear, data scientist, esperto di piattaforme di comunicazione; Manuela Lucchini, giornalista scientifica, già responsabile del settore Medicina di Rai1; Nicola Madia, docente di diritto penale presso l’università di Tor Vergata di Roma, abilitato funzioni di professore associato di Diritto penale; Antonio Pignataro, già questore di Macerata; Paolo Tommasini, presidente dell’associazione Tevere per Roma – responsabile Scuola di canoa del Circolo Canottieri Aniene di Roma.
Il calo del rendimento è scolastico primo campanello allarme dell’uso della cannabis
Calo del rendimento scolastico, della motivazione e della capacità di iniziativa, stranezze nel comportamento, tendenza a isolarsi all’interno del proprio gruppo di pari o di un determinato contesto, ad esempio quello social, possono essere campanelli d’allarme del consumo di cannabis da parte degli adolescenti, anche in età molto precoce, intorno agli 11-12 anni. A spiegarlo è Giuseppe Bersani, già professore ordinario di Psichiatria presso Sapienza Università di Roma, e membro del Comitato tecnico scientifico ‘Per la salute dei giovani’, entrato a far parte dei gruppi di lavoro dell’Ordine dei medici e degli odontoiatri di Roma e provincia (Omceo Roma).
Il consumo di cannabis si fa, infatti, sempre più precoce tra i ragazzi europei e quelli italiani non fanno eccezione. Secondo gli ultimi dati del 2020 della Direzione centrale per i servizi antidroga (Dcsa), nel nostro Paese il 6,3% dei consumatori di cannabis ha meno di 18 anni. Inoltre, secondo i dati Espad Italia 2014-2022, ad oggi il 25,8% degli studenti nella fascia d’età 15-19 ha fumato cannabis almeno una volta nell’ultimo anno (29,4% maschi e 22,1% femmine) e circa 75.000 studenti italiani in questa fascia d’età fumano abitualmente cannabis (10 o più volte al mese), determinando un effettivo fattore di rischio per l’insorgenza di disturbi psichiatrici.
L’esordio precoce nell’assunzione di cannabis da parte dei giovani può portare numerose gravi conseguenze. La punta dell’iceberg, spiega Bersani, “sono i disturbi psicotici che, secondo un dato medio, possono interessare il 15% dei giovani consumatori. Non è possibile definire il dato in modo più preciso perché – chiarisce lo psichiatra – alla comparsa di queste forme psicotiche concorrono quattro variabili. La prima è l’età di esordio dell’assunzione, perché un conto è iniziare a consumare cannabis a 13 anni e un altro è iniziare a 30. La seconda è la continuità, la regolarità dell’assunzione. La terza è la quantità cumulativa di principio attivo della cannabis (il tetraidrocannabinolo, THC) assunta nel tempo. Questi tre fattori si combinano, poi, con una vulnerabilità individuale mediata geneticamente. Questi stati psicotici possono essere di tipo simil-schizofrenico o simil schizo-affettivo. La cosa drammatica – sottolinea l’esperto – è che un disturbo psicotico che esordisce indotto e stimolato dal consumo di cannabis può cronicizzare e quindi non recedere, in molti casi, neanche dopo la sospensione del consumo di cannabis. È come se l’assunzione di cannabis fosse in grado attivare un processo potenziale, ma non espresso, che una volta attivato segue il suo decorso, indipendentemente dalla prosecuzione o meno dell’assunzione di cannabis. Si tratta di un rischio altissimo”, ribadisce Bersani e ricorda: “è stato calcolato che in Europa, nell’ultimo decennio, circa il 20% di nuovi casi di psicosi sono in qualche modo legati al consumo di cannabinoidi. Un dato enorme se pensiamo che si parla di migliaia di pazienti che necessiteranno di assistenza sanitaria a vita, con costi elevatissimi, e che senza l’assunzione di cannabis non avrebbero avuto bisogno di quel tipo di assistenza”.
Nella zona mediana dell’iceberg ci sono poi le conseguenze mentali di lungo termine, sviluppate da una vasta percentuale di soggetti che iniziano ad assumere precocemente cannabis ma non sviluppano psicosi. Si tratta di “disturbi depressivi sub-sindromici. È quella che noi chiamiamo sindrome amotivazionale, caratterizzata, più che dalla tristezza e dalla malinconia tipiche della depressione vera e propria, da uno stato di apatia, indifferenza, mancanza di motivazione, di interessi, di iniziativa. È strettamente intersecata col deficit cognitivo, con le difficoltà a studiare, a memorizzare. Un quadro sindromico che compromette anche l’adattamento sociale e professionale di tantissimi ragazzi“.
Alla base della piramide delle conseguenze sulla salute mentale del consumo di cannabis ci sono, infine, quelle di ambito neuro-psicologico che si manifestano con “riguardano disturbi di memoria e della concentrazione, difficoltà nell’apprendimento verbale. Molti ragazzi che fumano cannabis iniziano prima ad andare male a scuola, poi abbandonano: moltissime interruzioni di studi – sottolinea l’accademico – sono legate al consumo di cannabis. Per quanto labile possa essere il dato, l’Oms ha stimato che tra i giovani che hanno iniziato precocemente ad assumere cannabis e quelli che non l’hanno mai consumata c’è una differenza di quoziente intellettivo di 10 punti. I consumatori precoci si autodeterminano una ridotta capacità intellettiva per tutto il resto della vita. Non è un decadimento cognitivo – ribadisce Bersani – è una cognitività che non si sviluppa perché la cannabis interferisce con il processo evolutivo del cervello che è nel pieno durante l’età adolescenziale. Le opportunità cognitive che si perdono in adolescenza non si recuperano più, sono danni strutturali che si organizzano in quell’età e si perpetuano nelle età successive“.
Una vasta gamma di disturbi “condita da un problema di adattamento sociale, disregolazione, di impulsività, condotte devianti anche perché spesso siamo davanti alla comorbilità con l’uso di alcol, che anche tra i giovanissimi sta diventando un grosso problema. Prima si comincia, insomma, e peggio è“.
Proprio per aumentare la consapevolezza sui rischi legati al consumo di cannabis in età adolescenziale, è nato il Gruppo di lavoro coordinato da Antonio Bolognese, professore onorario di Chirurgia generale del dipartimento Pietro Valdoni presso Sapienza Università di Roma. “Lo spunto – ricorda Bolognese – è venuto all’inizio del 2022, nel momento del dibattito sul referendum per la legalizzazione della cannabis, quando nei confronti radio-televisivi la voce della scienza era solamente sussurrata se non addirittura ignorata e non veniva mai sottolineato che la cannabis non è una droga leggera. Il termine leggera non ha infatti alcun valore scientifico, ma nasce da un’esigenza soprattutto commerciale affinché se ne faciliti la vendita. Il nostro intento – spiega Bolognese – è informare in modo semplice, capillare, mediante un messaggio da diffondere, non solo attraverso i canali di comunicazione tradizionali, ma anche attraverso i social e la ‘peer education’. Vogliamo, infatti, che arrivi in tutti i contesti in cui sono presenti i giovani: scuole, università, centri e federazioni sportivi, conservatori musicali, scuole d’arte, le carceri minorili. Puntiamo alla ‘peer education’ – chiarisce il coordinatore del gruppo di esperti – con un progetto che istruisca alcuni giovani di riferimento ai quali sarà poi affidato il compito di fare informazione tra i loro coetanei. Il messaggio principale che dovrà essere diffuso è che il 15% di chi consuma la cannabis venduta oggi, che è molto diversa da quella degli anni ’60 e ’70 perché è potenziata, rischia di sviluppare effetti che possono indurre forme di psicosi, talora gravi e irreversibili. Poi ciascuno sarà responsabile del proprio futuro”.
“Il gruppo di lavoro – tiene a precisare il coordinatore – è nato come organismo spontaneo e indipendente. Poi è stato definito come ‘Comitato tecnico scientifico per la salute dei giovani’: è infatti costituito da un gruppo di medici specialisti esperti del settore scientifico, mentre nel gruppo dei tecnici ci sono esperti di comunicazione, di area giuridica e di sport. Successivamente, il presidente dell’Ordine dei Medici di Roma e provincia, Stefano De Lillo, è venuto a conoscenza del nostro lavoro e ha voluto fare propria l’iniziativa, per diffonderla prima di tutto tra i medici e gli odontoiatri (che spesso non conoscono a sufficienza la materia) e poi in tutti I luoghi dove già noi ci siamo posti l’obiettivo di raggiungere non solo i ragazzi, ma anche le loro figure di riferimento. Abbiamo, in tal modo, potuto istituzionalizzare il Cts con una specifica delibera dell’Ordine dei Medici di Roma e provincia. Ovviamente con il contributo dell’Ordine dei Medici sarà molto più semplice, ci auguriamo, riuscire a raggiungere i nostri obiettivi (Federazione nazionale, Ordini dei medici, Coni). Istruttori sportivi, maestri d’arte, docenti avranno, soprattutto loro, il compito di diffondere il nostro messaggio. Promuoveremo anche piccoli convegni o incontri con i ragazzi”.
“L’esigenza di informare i medici – tiene a precisare Bolognese – nasce dalla consapevolezza di quanto sia, talora, poco approfondita la conoscenza dei danni da cannabis anche tra gli operatori sanitari. Molti, infatti, sono ancora convinti che la cannabis attuale sia la stessa dello spinello del ’68, mentre oggi è 80 volte più potente. Vogliamo quindi aumentare la conoscenza e la consapevolezza tra gli operatori sanitari e smontare la convinzione, diffusa ad arte a livello mediatico, che la cannabis sia una droga leggera‘.
“L’altro nostro intento è che l’iniziativa assuma respiro nazionale, per rendere capillare l’informazione ed evitare che ci siano molte iniziative in alcune Regioni mentre altre restano scoperte“, conclude Bolognese.
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