Roma, 30 Marzo 2021
I wearable sanitari, le visite mediche a distanza, i dispositivi di monitoraggio dei pazienti cronici sono solo una parte, la più tangibile, della telemedicina, che nella sua definizione è prima di tutto un “nuovo modo di organizzare gli aspetti della salute, del servizio sanitario nazionale e privato“. Ed è a questo aspetto, secondo il Presidente della Società Italiana Telemedicina, Vittorio Antonino Gaddi, che bisogna dare priorità nel nuovo Recovery plan.
“Una riorganizzazione senza puntare solo sull’acquisizione di nuove tecnologie – spiega Gaddi – che metta in rete, assieme ai 150mila medici ospedalieri, ‘l’esercito’ di presidi territoriali: 19mila farmacie con 60mila farmacisti; 52mila medici di medicina generale inclusi i pediatri di libera scelta; la Guardia medica o medicina di continuità assistenziale; le Rsa, che sono 7.500 (anche se spesso non hanno abbondante personale medico o infermieristico)“. In che modo? “Mettendo il paziente al centro e facendo circolare i dati e le informazioni nel miglior modo possibile“. Che significa abbandonare il concetto di ‘fascicolo sanitario’ inteso come documento fermo in un archivio fisico o virtuale per andare verso un sistema dove i dati sono condivisibili da sistemi software che parlano la stessa ‘lingua’. “Questo è il concetto che manca. Può essere fatto subito, ma non con il ‘vecchio’ Recovery plan“.
Quest’ultimo, secondo il Presidente SIT, avrebbe creato “una serie di strutture con delle barriere, ognuna con la sua burocrazia, il suo mansionario, il personale da preparare. Un Ssn piu’ complesso e complicato“. Mentre la telemedicina serve a semplificare le cose, perciò “il nuovo Recovery deve fare la coproduzione degli strumenti di telemedicina immediatamente applicabili a tutti quegli eserciti che abbiamo e che da domani possono essere attivati. Abbiamo bisogno di ripensare alla riorganizzazione del sistema salute – conclude Gaddi – riorganizzazione fatta dai tecnici e dai pazienti mettendo al centro le esigenze della salute vera“.
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