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Concluso il convegno “Il danno d’organo nello scompenso cardiaco”

Salvatore Di Somma e Giuseppe Leonardi
Una importante ricerca sulle mutazioni genetiche nelle cardiomiopatie è stata al centro della due giorni di lavori internazionali su “Il danno d’organo nello scompenso cardiaco” ad Aci Castello.

L’esito della nostra ricerca sullo scompenso cardiaco potrebbe cambiare il modo di inquadrare questa malattia guardando ai geni e alla familiarità. Già un gruppo tedesco si sta spostando verso questa direzione: noi siamo i primi a dimostrarlo. Non possiamo rimanere indietro”.

Ne è convinto Giuseppe Leonardi, cardiologo responsabile dell’ambulatorio dello Scompenso Cardiaco dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico Catania che, insieme al professor Paolo Garagnani, docente di Patologia generale all’Università di Bologna, ha ultimato una importante ricerca sulle mutazioni genetiche nelle cardiomiopatie che è stata al centro della due giorni di lavori internazionali su “Il danno d’organo nello scompenso cardiaco” ad Aci Castello, conclusasi oggi pomeriggio.

Da anni ero colpito dal fatto che le mutazioni genetiche rilevate in pazienti con cardiomiopatia dilatata idiopatica, cioè con coronarie integre, avevano dei corrispettivi anche nei parenti, fossero essi genitori o fratelli, o figli. Grazie al professor Garagnani che ha messo a disposizione il DNA di 84 centenari per poi compararli con la nostra popolazione di pazienti, abbiamo dimostrato che laddove c’è la malattia spesso c’è una mutazione genetica”.

Il congresso, ad iscrizione gratuita, è stato patrocinato dall’Università di Catania, dall’Ordine dei Medici di Catania, da Great Italy, dall’ANMCO e dall’AISC, l’Associazione italiana degli scompensati cardiaci, ed era presieduto da Salvatore Di Somma, professore di Medicina Interna e direttore di Medicina Emergenza-Urgenza del Dipartimento di Scienze Medico-Chirurgiche e di Medicina Traslazionale dell’Università La Sapienza di Roma con la responsabilità scientifica di Leonardi, del professor Antonio Granata, direttore Nefrologia dell’ospedale Cannizzaro di Catania e del prof. Edoardo Gronda, della Fondazione IRCCS Ca’ Granda dell’ Ospedale Maggiore di Milano.

La due giorni di lavori, molto partecipata da un pubblico di addetti ai lavori, ha curato aspetti importanti legati alle diagnosi dello scompenso cardiaco, ai farmaci e alle cure sulla malattia dovuta dall’ incapacità del cuore a pompare quantità di sangue adeguate alle necessità dell’organismo. Anche l’ insufficienza renale è stata al centro di confronti e analisi. “In caso di scompenso cardiaco il rene riceve meno sangue dalla “pompa cuore” e cerca di difendersi trattenendo acqua. – prosegue LeonardiQuesto determina purtroppo l’accumulo di liquidi a livello del circolo soprattutto a livello polmonare. Ecco perché il rene è il punto chiave cruciale; sino a un certo punto mette in atto dei meccanismi di compenso, ma poi si deve intervenire. Oggi sono emerse diverse soluzioni farmacologiche, soprattutto nel quadro dell’iponatremia che vede come prima causa lo scompenso cardiaco molto avanzato”.

Quanto contino i nuovi farmaci per il trattamento dello scompenso cardiaco lo spiega molto bene il professore Di Somma: “Le glifozine sono capaci di agire sia nella fase acuta che nella fase cronica, migliorando la sopravvivenza dei pazienti nello scompenso ma soprattutto riducendone l’ospedalizzazione. Possiamo così contare su farmaci che riducono la mortalità e l’ospedalizzazione, e a questo si associa non solo un beneficio per il paziente ma anche per i costi pubblici della salute”.

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