Varese, 20 Maggio 2019
Massimo impegno per la vita, sempre e comunque, anche quando una vita finisce.
E’ questa, in estrema sintesi, la filosofia che anima la composita equipe multidisciplinare che ha portato l’Ospedale di Circolo di Varese nel novero degli Ospedali lombardi – una decina in tutto – che consentono la donazione di organi a cuore fermo dopo desistenza terapeutica.
Il tema è tanto delicato quanto complesso, dal momento che richiede la compresenza di numerosi specialisti con competenze molto avanzate: i rianimatori della Terapia Intensiva generale, diretta dal Dott. Giuseppe Mazzi, i cardioanestesisti della Terapia Intensiva cardiologica, diretta dal Prof. Paolo Severgnini, i cardiochirurghi e i tecnici perfusionisti, della Cardiochirurgia, diretta dal Prof. Cesare Beghi, e i chirurghi della Chirurgia Generale d’Urgenza e dei Trapianti, diretta dal Prof. Giulio Carcano.
Da un punto di vista tecnico, la procedura si applica a pazienti ricoverati in terapia intensiva le cui funzioni vitali sono sostenute esclusivamente da macchine e le cui condizioni generali sono tali da non comportare nessuna possibilità di recupero.
“Si tratta di pazienti il cui cuore batte solo perché ventilati artificialmente – spiega la Dott.ssa Federica Demin, collaboratrice della Dott.ssa Daniela Maretti, Coordinatrice provinciale dei Prelievi di Organi e Tessuti – e la cui funzionalità cerebrale è irreparabilmente compromessa“.
“Le possibilità di un recupero per questi pazienti sono nulle – aggiunge la Dott.ssa Maretti – Sono vivi solo perché una macchina fa loro battere il cuore, ma non hanno coscienza e nessuna possibilità di recuperarla. I loro organi e tessuti, però, possono essere preziosi per salvare altre vite“.
E’ in questi casi che, sentito anche il parere dell’esperto di etica medica, il Prof. Mauro Picozzi, dell’Università dell’Insubria, viene proposta la donazione degli organi. Non è facile spiegare ai parenti che il loro congiunto versa in condizioni simili e, proprio per questo, il compito è affidato ad un’équipe formata specificamente sul tema, in grado di spiegare con la massima semplicità e delicatezza la situazione.
Il colloquio con i parenti è il momento più delicato e decisivo. Al di là delle competenze tecniche degli operatori, infatti, sono i famigliari i primi attori di quel gesto di straordinaria generosità che è la donazione degli organi. Una donazione, però, diversa da quella classica, praticata a cuore battente. In caso di consenso, si procede con la desistenza terapeutica, cioè l’interruzione dell’attività di supporto artificiale delle funzioni vitali, accompagnata da una sedazione profonda. Quando il cuore si ferma, intervengono il cardiochirurgo, il cardioanestesista e i tecnici perfusionisti che posizionano l’ECMO, un sistema di circolazione extracorporea che, attraverso le vene e le arterie femorali, permette di preservare e mantenere idonei al trapianto gli organi.
L’ECMO, in maniera artificiale, sostituisce cuore e polmoni: da un lato perfonde, cioè sostiene la circolazione, dall’altro ossigena gli organi, evitando i danni che un periodo di ischemia prolungato comporterebbe per renderli prelevabili.
“La donazione a cuore fermo presuppone non solo la disponibilità di tecnologie e strutture adeguate e presenti solo in ospedali ad alta specializzazione – spiegano Mazzi e Severgnini – ma anche un’equipe multidisciplinare molto competente e molto affiatata, perché presuppone un intervento complesso in cui ogni specialista contribuisce per una parte fortemente integrata alle altre“.
Questa tecnica è piuttosto recente: definita a Pavia una decina di anni fa, da circa tre anni è praticata anche a Varese, ma solo da quest’anno in maniera sistematica.
“La donazione a cuore fermo presuppone una procedura impegnativa, delicata, ma che ha un fine importantissimo, salvare più vite possibili, attraverso quel gesto generoso che è la donazione degli organi” conclude la Dott.ssa Daniela Maretti.
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